LA VALLE DI SAN JOSÈ, UN MONDO ALIENO
La pioggia cade sulla Valle Centrale che circonda l’area metropolitana di San Josè e un’enorme distesa di luci rischiara la notte.
Il nostro viaggio in Costa Rica con CATA comincia con un approccio contemplativo, un po’ assonnato e sognante dopo le lunghe ore di volo. Osserviamo il paesaggio dall’alto di una collina, in un ristorante panoramico vicino alla capitale.
I bagliori dei centri abitati sotto i nostri occhi si riflettono flebilmente sui vetri dell’ampia veranda, mentre l’atmosfera rilassata viene movimentata dai primi passi di una danza tipica locale. Lo sguardo non riesce a catturare tutte le città che si estendono da est a ovest. In questa grande valle, il cuore economico del Paese, vivono quasi 3 milioni di persone, oltre il 50% dei costaricensi. È uno dei pochi luoghi dove la presenza umana ha il predominio sulla natura, come un’enclave ben delineata e imbrigliata dall’energia primordiale della foresta pluviale e della Cordigliera, rispettivamente l’apparato respiratorio e la spina dorsale del Centroamerica.
È solo un’istantanea di urbanizzazione, poiché tra i parchi, i vulcani, le cascate, i fiumi e il mare che ci aspettano nei prossimi giorni, questo grande manto luminoso ci apparirà alla fine come un piccolo mondo alieno.
TIQUICIA, LA PATRIA DEI LOS TICOS
Il ristorante dove siamo a cena ci dà l’occasione di far subito conoscenza con alcune espressioni locali.
Si chiama Tiquicia, lo pseudonimo di Costa Rica.
Tiquicia è una parola mutuata da “Ticos”, il soprannome che identifica i costaricensi. Tico è l’equivalente dell’italiano “ino”, una desinenza che qui viene appiccicata in coda a moltissime parole di uso comune, per donar loro musicalità e familiarità. Ci sono nomi che più di altri hanno la qualità di descrivere e di evocare un concetto, un’idea. Di cucirsi perfettamente attorno ciò che rappresentano. Ecco, Ticos è uno di questi, tanto più che è stato affibbiato agli abitanti della Costa Rica dai Paesi confinanti. Immaginiamo un caso analogo in Europa, con gli italiani che accettano con gioia un epiteto coniato per loro dai cugini francesi o viceversa: occorrerebbe un notevole (e inutile) sforzo d’immaginazione.
D’accordo, Ticos sembra proprio un nome colmo di innocenza, ma il fatto che in Costa Rica venga usato quotidianamente, la dice lunga sui ritmi rilassati, sulla gentilezza e sull’attitudine al sorriso che contraddistingue la gente del luogo.
Un altro esempio? Chiedi a un tico come va e lui ti risponderà certamente “pura vida”, vita da gustare fino in fondo.
IL CARRETTO
La mattina del giorno seguente, imbocchiamo la Panamericana (lunga in totale 25 mila chilometri, si estende dall’Alaska alla terra del Fuoco ed è interrotta solo dalla selva del Darién tra Panama e Colombia, il cosiddetto Tapòn) in direzione del Parco Nazionale del Vulcano Arenal. Attraversiamo il pueblo di Grecia, con la sua chiesa interamente costruita in metallo (secondo una leggenda locale avrebbe dovuto essere edificata a Punta Arenas in Cile, ma la nave che trasportava il carico di ferro sbagliò clamorosamente rotta), e poi, lungo la strada, scendiamo per una breve tappa nella piccola Sarchì, in provincia di Alajuela. Qui si trova la fabbrica di carretti Eloy Al faro, l’unica rimasta in tutta la Costa Rica. La somiglianza con i carretti siciliani è straordinaria, ma è inutile scomodare la malizia, non è un caso sospetto di manierismo latino.
Il carretto (usato per trasportare principalmente legname e caffè) è sin dal 1700 uno dei principali simboli della Tiquicia e da queste parti ha quasi un’aurea di sacralità, in quanto “motore” dello sviluppo della nazione. La fabbrica Eloy Alfaro, nella quale lavorano 21 persone, produce ogni anno 36 carretti dipinti a mano. A primo acchito non sembrano molti, ma per realizzare un singolo modello occorrono 100 ore di manodopera. Il costo è di 300 dollari chiavi in mano. A differenza degli autoveicoli non inquina, fortifica braccia e gambe e dura almeno 70 anni. E con quello che costa, probabilmente è anche uno status symbol al pari di una bella macchina.
RELAX E ADRENALINA NEL PARCO DEL VULCANO ARENAL
Sarchì è uno degli ultimi paesi sulla strada che porta al Parco Nazionale del vulcano Arenal. Ancora un’ora di macchina e finalmente appare il vulcano con i suoi 1670 metri d’altitudine e il cratere immerso nella nebbia tropicale. Arenal significa “sabbioso”, ma è piuttosto un vulcano dalle due facce. Un versante si presenta come una distesa di sabbia lavica, mentre l’altro lato è completamente ricoperto dalla vegetazione. È nuovamente in attività dal 29 luglio 1968, data in cui, dopo 400 anni di quiescenza, si è improvvisamente risvegliato causando la morte di 91 persone.
Il Parco Nazionale del Vulcano Arenal è una delle mete turistiche più gettonate della Costa Rica non solo per la natura rigogliosa e i suoi scorci incantevoli, ma anche perché è un’area unica dove praticare svariati sport all’insegna dell’avventura. Rafting, canyoning e soprattutto canopy, una forma di esplorazione molto particolare e adrenalinica che permette di sorvolare la selva ad alta velocità, agganciati a cavi d’acciaio tra diverse piattaforme. Non vediamo l’ora di provare la zip lines di Sky Adventures, un percorso di 2.8 chilometri sospeso tra i 20 e 200 metri dal suolo (le singole tratte variano dai 30 ai 760 metri di lunghezza). Le nostre aspettative non vengono deluse, tutt’altro: l’emozione di volare tra gli alberi e in mezzo alle nubi, con una velocità massima di 80 chilometri orari, sbucando in improvvisi angoli di azzurro per poi ammirare il paesaggio in cui si distende il lago Arenal, è davvero indimenticabile. Una prospettiva insolita per rendersi conto, una volta di più, di come la foresta pluviale sia compatta e non lasci scoperto nemmeno un centimetro di terreno.
Dopo l’adrenalina delle zip lines, ci attende una pausa relax alle terme del Tabacòn Resort. Un giardino dell’Eden sospeso nel tempo, con acqua calda fino a 40 gradi, cascate naturali e ruscelli che scorrono placidamente nella foresta. Non resta che rilassarsi nelle piscine naturali, ascoltare in sottofondo il canto degli uccelli e l’acqua sugli scogli, tenere gli occhi aperti. Perché davvero non serve chiudere le palpebre per immaginare di essere in un posto più suggestivo.
Il vulcano svetta sulla vegetazione diffondendo un’atmosfera primordiale e per un’oretta ci dimentichiamo in quale secolo viviamo. Sopraggiunge la notte, il silenzio è un manto che ricopre tutto il parco ovattandolo.