BOCAS DEL TORO, UN ARCIPELAGO DI RARA BELLEZZA
Con un volo interno di circa un’ora ci spostiamo dalla costa pacifica a quella atlantica. La destinazione è Bocas de Toro, un arcipelago caraibico a soli 32 chilometri dalla Costa Rica, costituito da 239 isole ricoperte di mangrovie bianche, nere e rosse. Con una barca (circa 35 dollari a testa il costo a giornata, tour operator di riferimento D’Lujo Tours) esploriamo questo paradiso tropicale da cartolina.
Il mare è liscio come l’olio e brilla di riflessi turchesi, le spiagge di sabbia bianca e fine sono punteggiate di palme da cocco. Anche in questo luogo di pace baciato dal sole, rispunta una leggenda legata a Henry Morgan, il bucaniere che saccheggiò Panama nel 1670. Gli abitanti del luogo raccontano infatti che sull’isola Zapatilla si vedano di notte i fantasmi dei due custodi del tesoro del celebre pirata. Dopo un tuffo e l’altro, una visita del parco marino dell’isola Bastimentos, ci rechiamo in un caratteristico ristorante palafitta. Mangiamo uno squisito piatto di aragosta e intanto osserviamo le grandi stelle marine adagiate sul limpidissimo fondale.
La sera, nelle le vie della città di Bocas del Toro facciamo un tour dei locali, tutti molto frequentati da giovani turisti under 30 e difatti tantissimi ostelli sorgono tra le coloratissime case di legno in stile caraibico.
Non possiamo attardarci troppo, fra poche ore dobbiamo ritornare a Panama City, per vedere finalmente il Canale.
IL CANALE, LA RUTA DEL MUNDO
Il simbolo di un Paese e di un intero continente. L’ottava meraviglia del mondo moderno. Un’opera titanica che costò la vita a oltre 25 mila persone. L’esempio di come un’idea economica abbia dato origine a una nazione. Più semplicemente, il Canale di Panama, una di quelle opere di cui abbiamo sentito sempre parlare sin da bambini sui libri di geografia. “La ruta del mundo”, 81 chilometri di lunghezza che permettono alle navi cargo di passare da un oceano all’altro in 8-12 ore, senza dover circumnavigare l’America Meridionale. L’intuizione di costruire il Canale, sfruttando il sottile istmo di Panama, risale sin dai tempi di Carlo V, ma si concretizza per la prima volta nel 1874, quando i francesi, sotto la direzione di Ferdinand de Lesseps, cominciarono i primi lavori che terminarono con un drammatico e sanguinoso insuccesso. Così nel 1907, dopo aver favorito l’indipendenza di Panama dalla Gran Colombia, gli Stati Uniti si dedicarono alla realizzazione del progetto che durò fino al 1914, anche se l’inaugurazione avvenne il 1920. Oggi il pedaggio dovuto per la navigazione è la principale fonte dell’economia di Panama, “Un piccolo Paese con sogni da gigante”, recita lo slogan sonoro che ascoltiamo in visita alle Chiuse di Miraflores ed Agua Clara.
Vedere dal vivo la precisione chirurgica delle operazione di transito, con gli elaborati sistemi di chiuse in funzione che innalzano imponenti città galleggianti di 27 metri sopra il livello del mare per poi riabbassarle, è davvero impressionante (ogni anno transitano 14000 navi). Le procedure sono talmente delicate che lungo il canale i comandanti dei cargo devono lasciare temporaneamente il proprio posto ai colleghi panamensi che dirigono le operazioni di pilotaggio (i comandanti panamensi che lavorano nel canale sono 300, di cui 2 donne). Il 26 giugno scorso sono ufficialmente terminati i lavori di ampliamento del canale di Panama (che hanno coinvolto anche il gruppo italiano Salini-Impregilo): oggi quindi il transito è permesso anche alle navi “Post Panamx” (Panamax è la sigla che indica le dimensioni massime consentite alle navi per poter transitare nelle chiuse), lunghe quasi 400 metri e capaci di trasportare 13000 container, circa il triplo di prima. Non mancano gli scetticismi e le polemiche a riguardo, ma il successo o meno di questo nuovo progetto si dovrà valutare nei prossimi anni.
Dopo la chiusa di Agua Clara passiamo velocemente da Colòn, 70 mila abitanti, la quinta città più grande di Panama, ma al primo posto nella classifica dei contrasti. Colòn è uno dei più importanti Hub per le navi da crociera che navigano nel Centroamerica (in questo porto approda anche la MSC), oltre a essere un’area di libero commercio con oltre 5 mila negozi (solo Honk Kong la precede), ma la povertà, il degrado e la pericolosità dei suoi vicoli costituiscono un paradosso impossibile da occultare. Il suo carcere cittadino, tanto per capire l’abbandono di questo centro, viene considerato “l’Università criminale” di Panama.
LAGO GATÙN E DINTORNI
Il pomeriggio non è ancora finito e abbiamo tempo per una gita in barca sul lago Gatùn, bacino artificiale sul fiume Chagres dal quale si attinge l’acqua necessaria a fare funzionare le chiuse del Canale.
Ci avviciniamo alle impomenti navi che aspettano il proprio turno per passare dal Pacifico all’Atlantico.
Ci dicono che il lago è pieno di coccodrilli, noi non li avvistiamo, ma in compenso le scimmie Titì che si lanciano sulla nostra barca in cerca di cibo ne avvertono la presenza. Queste piccolissime scimmie, per evitare di diventare cibo per alligatori, usano come bicchiere le proprie code che inzuppano nell’acqua senza mai scendere dagli alberi.
Passiamo la notte a Gamboa, in un resort immerso nella foresta, costruito dopo le colorate e ordinate abitazioni di un’ex base militare americana.
Il giorno prima della partenza risaliamo un canale del lago Gatùn e andiamo a conoscere la tribù degli Embera Quera. Un popolo che vive a Panama da soli nove anni. La loro terra originaria è il Darien, la provincia che confina con la Colombia, da cui sono dovuti scappare a causa dalla guerriglia scatenata dalle Farc. Gli Embera hanno acquistato il terreno dal governo e ora convivono con la modernità pur conservando i loro costumi. Alcuni di loro frequentano l’Università e la comunità ha persino una pagina su Facebook. Ogni giorno una maestra di Colòn, attraversa il fiume per fare lezioni ai bambini indigeni.
Prima di prendere l’aereo di ritorno abbiamo tempo per un altro tour a Panama City. Siamo ora davanti al Museo della Biodiversità (biglietto di ingresso dai 18 ai 21 dollari) disegnato dall’archietto Frank Gehry, e concepito come porta d’ingresso alle bellezze naturali di Panama. Il museo racconta la formazione dell’istmo, l’ultima terra emersa del continente americano, risalente a 3 milioni di fa, che ha di fatto cambiato il clima del mondo generando la Corrente del Golfo. Ci spostiamo verso l’aeroporto, passando sul terrapieno di Amador e avvistiamo la vecchia barca che Al Capone usava per il traffico di rum da Cuba a Miami e che oggi viene utilizzata per far vivere ai turisti l’esperienza di passare tra le chiuse del Canale, da Miraflores a Pedro Miguel. Salutiamo Panama City e il Ponte de Las Americas dall’alto del Cerro Ancon, il monte che domina la città, chiamato come la prima nave che attraversò il canale. Il crocevia del mondo.