Manila
Quattro ore di volo sono necessarie per raggiungere Manila da Negros. La capitale delle Filippine, con dodici milioni di abitanti, è la tipica megalopoli asiatica, caotica, inquinata, rumorosa e affollata. Gli aggettivi che non indicano propriamente entusiasmo si affollano da soli alla mente, come reazione allo schiaffo che come sempre si riceve quando si arriva in metropoli dove accanto a tantissime nuove costruzioni lo sguardo si perde sul mare di edifici non molto più vecchi ma già cadenti, scrostati, ma soprattutto brutti. Manila è essenzialmente una città rifatta dopo la guerra mondiale, dalla quale uscì nella tipica forma della distesa di macerie propria delle città tante volte bombardate. Fu l’aiuto americano che permise la ricostruzione della città, realizzata in gran parte, purtroppo, con le architetture razionaliste imponenti e arroganti o decisamente kitsch degli anni della presidenza Marcos. Tre aree si distinguono, tre isole nella città, che la raccontano in modo sintetico.
La prima è Intramuros, il quartiere antico che conserva ciò che resta del passato coloniale. Intramuros era la città fortificata costruita nel ‘500 per le elite spagnole che dominavano il paese. Dalla pioggia di bombe che distrusse Manila si sono salvati il Fort Santiago immerso in un grande parco con fontane e piazzette e la chiesa di Saint Augustin. Ben poco, a rigore, ma abbastanza per farsi un’idea di una città spagnola piazzata al tropico a recintare la zona del potere e della ricchezza, affacciata sul porto, vero nodo strategico del Paese.
La seconda area di grande fascino da non perdere – ma sarebbe assai difficile starne lontano anche per il viaggiatore occasionale – è quella dove si manifesta la modernità della capitale, la zona di Makati City dove si concentrano non solo le attività finanziarie ed economiche del Paese, ma anche i ristoranti e i bar alla moda, i centri commerciali e le boutiques dei marchi internazionali del lusso, oltre naturalmente a una buona rappresentanza delle strutture alberghiere di maggior pregio.
Questa zona di Manila è quella dove chiunque arrivi dall’Europa o dall’Asia o dall’America sente di essere arrivato nel luogo tipico della globalizzazione, arrivata prima di te ormai ovunque: devi ricorrere a piccoli trucchi, come riconoscere in che lingua sono scritte le insegne e le indicazioni stradali, gli immensi pannelli luminosi dedicati alla pubblicità, i grandi schermi video, per ricordarsi dove si è.
E’ la modernità della globalizzazione, la forma abitabile e transitabile della omologazione emotiva, sensoriale della nostra contemporaneità, confermata dal rigido rapporto di almeno uno a uno tra strumenti di ultima generazione per la comunicazione e passanti.
Colpisce, anche per questo, la presenza a Makati del Museo Ayala. Le sale al piano terra ospitano sessanta diorami che ricostruiscono in modo efficace la storia della nazione mentre le sale blindate al quarto piano ospitano una straordinaria e imperdibile collezione di gioielli e manufatti d’oro realizzati dalle popolazioni autoctone prima dell’arrivo degli spagnoli. In mezzo ai segni della modernità e della globalizzazione, il Museo, ben documentato nel sito Museo Ayala, sembra una impennata di orgoglio nazionale, un modo di ricongiungere le difficoltà di un presente tormentato alla storia del Paese nelle sue origini profonde, presentando nella impressionante collezione di gioielli antichi la testimonianza originaria della cultura filippina, che rimane visibile e importante nonostante la infinità di invasioni, dominazioni, colonizzazioni subite nel corso della storia.
Sulla stessa falsariga sembra porsi il terzo luogo che abbiamo individuato, nel quale si legge una parte importante della storia più recente del Paese. Arriviamo al parco dedicato a José Rizal, intellettuale e poeta filippino sostenitore della causa per l’indipendenza, fucilato dagli spagnoli proprio in questo luogo. Il monumento a lui dedicato è presidiato da un picchetto d’onore che non sembra avvertire né il caldo né il sole implacabile. Un segno inconfondibile di identità nazionale, di bisogno chiaro di radici culturali e di eredità condivise più che mai necessarie in un Paese alle prese con grandi difficoltà.
Al di fuori di queste tre località, nicchie di simboli e di particolarità, l’immensa Manila, le sue sterminate periferie, che possono cambiare radicalmente all’improvviso, come in tutte le metropoli asiatiche, dove si distruggono e si ricostruiscono nel giro di poco tempo palazzi sempre più alti e interi quartieri. Una vita frenetica, per tutti; per la maggioranza, una vita spesso povera, con milioni di persone impegnate a sopravvivere di giorno in giorno, senza nessun segnale da nessuna parte che annunci periodi più felici e meno faticosi per le famiglie e le persone normali.
Ce la faranno i filippini, così gentili e sorridenti, con la loro cultura essenzialmente pacifica ed accogliente, a restare un Paese di pace, trovare percorsi di sviluppo non riservati ad élites sempre più piccole, a trovare forme di governo democratico meno soggette alla tentazione della dittatura e ai rischi della corruzione? Sapranno in tempo trovare nel turismo una forma intelligente di sviluppo non distruttivo? Nel lungo viaggio di ritorno sono le immagini, colorate e contraddittorie, a farla da padrone affacciandosi in disordine sullo schermo dei ricordi.