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Boracay

White Beach Boracay

Il viaggio comincia a Boracay, una piccola isola di appena sette chilometri di lunghezza e 500 metri nel punto più stretto, che offre la spiaggia “più bella del mondo”. La White Beach è un tappeto di sabbia bianca lungo quattro chilometri orlato di palme e appoggiato sul mare azzurro punteggiato dai paraw, le barche a vela con il bilanciere in bambù. Gli alberghi, ma anche i locali commerciali, i pub, i ristoranti e le discoteche costruiti senza soluzione di continuità direttamente sulla spiaggia sono appena nascosti dalle palme.
Di giorno si può prendere il sole che filtra quasi discreto dalle palme, guardare il mare, nuotare senza rischi, se non quello di bruciarsi sotto il sole tropicale. Ma si può anche noleggiare un bangka, una barca a motore, per navigare lungo la costa settentrionale dell’isola e raggiungere altre spiagge che orlano l’isola, più piccola ma altrettanto belle e attrezzate con ristoranti e piccole strutture ricettive, come Diniwid Beach o Puka Beach.

La sera, per spostarsi da un locale all’altro i turisti degli alberghi della White Beach, ma anche la popolazione locale, utilizzano il White Beach Path, il sentiero sulla spiaggia illuminato dal riflesso dalle luci dei locali, interdetto ai veicoli motorizzati che invece affollano le strade strette e malmesse della piccola isola.

Al mattino, dopo il relax della notte trascorsa nel magnifico albergo che ci ospita e la sontuosa prima colazione, quando esci e torni a guardare la spiaggia, ti accorgi che questa meraviglia fragile è un luogo di assedio: ti colpiscono, guardando tra le palme, non tanto i giochi di luce del sole tra i rami, ma le tante gru che se non sono più numerose delle palme sono certamente più alte. Ognuna di esse segnala un cantiere, annuncia nuove strutture o allargamenti consistenti di quelle esistenti e funzionanti, obbliga a pensare a mura di cemento sempre più alte e più vicine a circondare la spiaggia. “Bionda non guardar dal finestrino che c’è un paesaggio che non va” cantava Paolo Conte nella sua “La Topolino Amaranto”. Trenta anni di sfruttamento turistico, ancora in corso, hanno cambiato la fisionomia di Boracay che è diventata la destinazione più famosa delle Filippine ma a prezzo di una costante e crescente minaccia alle sue bellezze naturali. I filippini cominciano a preoccuparsi e non solo per Boracay.
Lo sviluppo edilizio costiero aggrava il fragile equilibrio dell’ecosistema delle coste, che risentono delle conseguenze spesso devastanti causate dal cambiamento climatico. Negli ultimi anni sono sorte numerose organizzazioni che promuovono la tutela dell’ambiente mentre il governo  nazionale ha attivato numerosi  progetti  di tutela ambientale dei quali dà conto attraverso il sito del Biodiversity Management Bureau.  Noi turisti di oggi facciamo come la bionda di Paolo Conte: guardiamo in su tra le palme e ci beviamo il “cielo azzurro e alto che sembra di smalto”. Ma anche il più intenzionato tra loro a non cedere se non ciò che rimanda alla cartolina tradizionale e al suo splendore non riesce a far tacere la vocina interiore che gli chiede per quanto tempo ancora la selezione del paesaggio che escluda ciò che stona e contrasta con la meraviglia naturale che ti si offre sarà possibile.